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SALA CONSILINA: «COSì HO MANDATO IN CARCERE LA BANDA DEGLI STROZZINI»

Articolo tratto da: "Il Mattino"

La dignità semplice, nella terra omertosa del Vallo, ha un nome e cognome: Antonio Spinelli. Senza titoli e senza soldi. Capelli bianchi ispidi, volto incorniciato dalla barba di qualche giorno, uomo sempre in movimento per onorare la fama del soprannome Antonio scarpaleggia, perchè qui lo conoscono così.
Ha mandato in galera un avvocato, pregiudicati e faccendieri: tutti accomunati dall’accusa di usura, strozzinaggio. Ed ora nel capannone dove smercia all’ingrosso detersivi e casalinghi, racconta l’avventura iniziata nell’aprile del 2003 con un assegno di novemila euro, lievitato negli anni con tassi del 400 per cento.
Quell’assegno glielo diede l’avvocato Massimo Puglia, trentasette anni, finito in manette, poi scarcerato e «assolto» a fine luglio scorso dal suo consiglio dell’ordine prim’ancora che dal giudizio di un tribunale. «L’avvocato aveva anche rapporti con le banche...» dice Antonio Spinelli che non va oltre.
Al suo posto parlano gli atti processuali, perchè i direttori di banca rispettavano l’avvocato e che qui, miracolosamente, riescono sempre ad evitare i fulmini. «Massimo, questo blocchetto di assegni lo dò perchè qui ci sei tu...» dice il direttore di fronte all’amico in compagnia del povero protestato in cerca di ossigeno. Ma nel Vallo non dappertutto è così nera: c’è un direttore di un piccolo istituto di credito, Michele Albanese, che collabora attivamente con la fondazione antiusura di don Andrea La Regina.
«Io ho avuto il coraggio della denuncia, non basta salvare... Ho avuto lo Stato dalla mia parte che, quando vuole, c’è e ci sa fare. Lo Stato l’ho trovato in un maresciallo, Daniele Perrucci, in un capitano, Giuseppe Costa, in un pm, Carmine Olivieri e in prefettura in Raffaella De Asmundis».
Tutto comincia con il maresciallo che raccoglie le confessioni di Antonio, gli consiglia la denuncia ma, soprattutto, non lo abbandona al suo destino. «In quel momento - dice - pensi a tutto, anche all’irreparabile. La morte? Cominci a dirti che la morte appartiene al destino di tutti, proprio di tutti. E si muore in mille modi ma, qualche volta, puoi anche sceglierlo, il modo.
Il migliore, è quello di morire dopo aver combattuto una battaglia di dignità. I primi tempi sono duri, ti ritrovi solo, senza un euro, conti gli amici sulle dita di una mano, cinque, forse dieci, tra questi i miei avvocati Erminio Cioffi e Dario Tepedino. E rifletti. Io pensavo che quel verbo tutto nostro, apparare, ero costretto a pronunciarlo solo io, ogni mattina: correre per apparare nelle banche gli assegni dell’usura...Invece mi hanno chiesto di apparare con i miei aguzzini...Ed erano tutti professionisti, persone cosiddette perbene, che mi volevano indurre a desistere dalla denuncia contro gli usurai. Antò, tieni famiglia, lascia stare. Vediamo di apparare con compa’ Felice...».
Dove il compare non è altro che un pregiudicato della gang dell’usura finito anche lui in carcere insieme al giovane avvocato. «E io a chiedermi: ma è mai possibile che dobbiamo apparare? E poi cosa dopo che mi hanno buttato sul lastrico?» Perchè qui la giustizia non è domestica, è rancidamente casereccia. Raccontano di avvocati che nel processo per l’usura, quello nato dalle denunce di Antonio, hanno doppi incarichi: difendono gli imputati e dovrebbero tutelare le parti offese. Un giorno, dovranno pur scegliere. Ma partono così, perchè ci si appara sempre, alla fine, tra vittime e aguzzini. Per riconoscere a questi ultimi anche la furberia dell’averla fatta franca dopo aver seminato terrore con assegni e minacce.
Per Antonio non ci sono minacce, lui lavora insieme ai figli nel capannone che ora ospita alberi di Natale e fili di luminarie tutta roba da rivendere ai negozianti. Ora c’è la minaccia della burocrazia. «Sono in attesa dalla sospensione delle esecuzioni immobiliari, come spetta alle vittime dell’usura - racconta ancora Antonio - l’aspetto da tre mesi. E l’undici dicembre prossimo, sì proprio martedì prossimo, scadono i termini entro i quali io posso rimanere in questo capannone a lavorare. Ho fiducia...».
E pensare che nel 2004 i finanzieri di Roma («quelli che arrestarono il banchiere Fiorani, li riconobbi in tv» dice Antonio) vennero nel mio capannone. Una perquisizione, perchè in una grossa indagine trovarono assegni che io avevo firmato a due persone del Vallo.
Quel maggiore della Finanza fece un bel rapporto, lo spedì quaggiù ma tutto rischiò di essere archiviato». L’inchiesta sull’usura poteva scoppiare qualche anno fa magari anche con il sequestro dei beni per iniziare a impoverire chi ha costruito imperi sui soldi dello strozzinaggio. Per ora, qui ci sono solo gli arresti. Ed è davvero ancora scandalosamente poco.
Antonio Manzo
News pubblicata il 07-12-2007, letta 4159 volte
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